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Counseling Day 2023


 
Sembra che il Ministro di Giustizia Angelino Alfano abbia detto ai rappresentanti degli ordini professionali, in occasione dell’incontro dello scorso Aprile al Ministero, che la riforma delle professioni deve avere l’obiettivo di rafforzare la preparazione professionale, la responsabilità etica e l’adeguatezza organizzativa del professionista così da assicurare al cittadino prestazioni di qualità. Abbiamo scritto “sembra” perché a quell’incontro noi del CoLAP, rappresentanti dei professionisti associativi, non siamo stati invitati e quindi dobbiamo affidarci ai resoconti di stampa. Certo è che, se ci fossimo stati, avremmo detto: “Caro Ministro, i tuoi obiettivi sono tutti presenti nel Manifesto CoLAP del duemila e li abbiamo già messi in pratica: costituiscono il nostro normale modo di operare”.

I Presidenti degli Ordini, al di la delle dichiarazioni di soddisfazione per il fatto che noi non eravamo stati invitati e di formale condivisione degli obiettivi posti dal Ministro, dopo l’incontro devono essersi guardati in faccia e detti: e ora come ne usciamo? Noi che abbiamo sempre sostenuto che il professionista iscritto all'ordine, in quanto tale, è l'esperto per eccellenza, il tuttologo della materia vita naturale durante; noi che abbiamo sempre posto il veto alla formazione continua obbligatoria per gli iscritti perché basta l’esame di Stato a garantire la conoscenza e a definire il professionista intellettuale; noi che abbiamo fatto naufragare il D.d.L. Fassino del 2001, anche perché prevedeva la possibilità di riconoscere le specializzazioni all’interno delle professioni ordinistiche e, del pari, abbiamo silurato la bozza Vietti del 2003 che prevedeva il rilascio degli attestati di competenza per le specializzazioni di iscritti agli ordini, come possiamo accedere alle richieste del Ministro? Immaginiamo che ci siano stati incontri frenetici e discussioni accese che hanno impegnato, a tutti i livelli, la pletorica organizzazione ordinistica (che consta di oltre 2.000 ordini provinciali).

Alla fine, come dal cappello del prestigiatore, è uscito un documento capolavoro di cechiobottismo, presentato in pompa magna al Ministro a fine Luglio dal coordinamento unitario degli ordini professionali (CUP), per l’occasione in accordo con gli scissionisti (ingegneri, chimici, dottori agronomi e forestali, periti agrari e industriali, geologi, geometri e tecnologi alimentari) che hanno dato alla luce un nuovo di coordinamento tra i professionisti dell'area tecnica (PAT) - quando si dice la coerenza, se si pensa alle dichiarazioni del presidente degli ingegneri per il quale “il CUP è inutile e incapace di organizzare una voce unica e ascoltata: ha esaurito il suo tempo e andrebbe rottamato”.

In effetti, il documento presentato al Ministro prevede l’obbligo della formazione continua per i professionisti in modo che possano mantenere, durante tutta la vita professionale, la capacità di fornire prestazioni adeguate; chiede che vengano istituite scuole di specializzazione per professionisti con il rilascio di qualifiche di specializzazione; affronta il tema della copertura assicurativa per la responsabilità civile chiedendo che divenga obbligatoria; ipotizza di organizzare l’offerta professionale anche in forma societaria, senza il vincolo della mono disciplinarietà.

Da una lettura parziale del documento sembra, cioè, che i vertici degli ordini abbiano finalmente abbandonato la tutela delle posizioni di monopolio dell’iscritto e che il concetto di livellare tutto verso il basso, così che chi non si aggiorna non viene penalizzato, non sia più la loro stella polare. In altri termini sembrano sposare proprio quelle idee che il manifesto del CoLAP ha fissato ormai due lustri fa e che da sempre sono alla base del modello associativo.

Noi del CoLAP dobbiamo stappare champagne e festeggiare un grande successo? Possiamo dire di aver vinto? Che dieci anni di studi, di approfondimenti, di incontri, di dibattiti all’interno delle Istituzioni hanno dato il loro frutto, che la lungimiranza e la coerenza delle posizioni espresse sono diventate il punto di riferimento per la definizione di una nuova organizzazione delle professioni capace di promuovere il cambiamento e tutelare l’utenza?

Effettivamente segnali in questo senso ve ne sono, e molti. Se confrontiamo le proposte di legge presentate dai parlamentari nella XIII legislatura con quelle della legislatura corrente vediamo che ora, con una sola eccezione, tutte danno preminenza ai nostri temi ed alla regolamentazione della associazioni professionali, mentre prima non se ne parlava proprio. D’altra parte è nelle cose che lo sviluppo delle scienza e la rapidità della obsolescenza delle conoscenze, imponga a tutti, anche ai più conservatori, una seria riflessione sulla durata delle competenze acquisite, sulla necessità di aggiornare in continuo il bagaglio professionale.

La cultura della formazione continua e dell'aggiornamento professionale, che da sempre rappresentano il valore aggiunto del modello associativo, non può non entrare anche nelle riflessioni degli ordini che dopo il documento presentato non possono più affermare che una laurea e un esame di Stato possano definire per sempre una capacità di fornire servizi professionali validi: l’avvento dell’economia del sapere ha imposto ritmi di apprendimento continui e lo sviluppo di sempre nuove competenze specialistiche. Se qualcosa di buono da tutti questi anni di accese polemiche fosse venuto fuori, se anche gli ordini avessero realmente compreso l'esigenza di riformarsi, se l’ipotesi di strutturarsi in modo più efficace per fornire una prestazione di qualità fosse davvero una ferma convinzione, allora potremo dire di aver fatto grandi passi in avanti e potremmo congratularci tutti assieme per aver contribuito a rendere possibile un servizio migliore ai cittadini.

Purtroppo non è così.

Leggendo per intero il documento ci accorgiamo che quei buoni propositi sono solo la foglia di fico con la quale i vertici degli ordini tentano di nascondere il delitto che vorrebbero perpetrare contro i cittadini italiani in generale e i professionisti associativi in particolare, al solo fine di aumentare il mercato dei professionisti ordinistici ed assieme il proprio potere personale.

Il primo obiettivo che vogliono raggiungere con il documento, infatti, è dichiaratamente quello di tagliare l’erba sotto i piedi delle nostre associazioni professionali.

Per raggiungerlo propongono di riservare per legge l’aggettivo intellettuale alle sole professioni ordinistiche, in quanto chi le esercita ha superato un esame di Stato (!) ed è iscritto ad un ordine, e nel contempo definire semplici “prestazioni d’opera” le altre attività professionali. Chiedono, infatti che, oltre a tutti i dizionari della lingua italiana, dove occorrerà scrivere accanto all’aggettivo intellettuale: vedi le proposte del CUP e del PAT, venga modificato anche un intero Titolo del codice civile. Se quest’ultima modifica non fosse possibile si contenterebbero, bontà loro, di una modifica del solo art. 2229 del codice civile “al fine di rimarcare la differente disciplina del contratto d'opera intellettuale e, nel suo ambito, della professione intellettuale.”

Quale sia la grande differenza che urga rimarcare ed imponga una modifica al codice civile, soprattutto quando loro stessi riconoscono la insufficienza dell’esame di Stato per garantire una efficace prestazione professionale ed è nelle cose che l’iscrizione ad un ordine non ha mai impedito a professionisti poco seri di continuare ad esercitare la loro professione, a noi davvero sfugge. Qualcuno è in grado di spiegarcelo, ma con parole semplici, per favore? Si sa che, al massimo, noi siamo capaci di semplici prestazioni d’opera.

Sempre per raggiungere lo stesso obiettivo di ghettizzare le associazioni professionali, chiedono che venga modificata un’altra legge, quella con la quale è stata recepita la Direttiva europea sulle qualifiche professionali, che consente la Governo di utilizzare le associazioni professionali per formulare le piattaforme europee di loro competenza, facendo salve tutte le prerogative degli ordini professionali. Sostengono che quella legge “mina le basi del sistema normativo delle professioni introducendo surrettizie parificazioni prive del presupposto costituzionale.” Peccato che il TAR Lazio, al quale gli ordini si sono rivolti per vedere riconosciuta la loro tesi, abbia respinto tutte le loro argomentazioni con sentenza ormai definitiva. Non fa niente. Loro insistono su una tesi già sbugiardata sperando di trovare nel Governo osservatori poco attenti.

Liquidate le associazioni professionali in un limbo che non potrà non portarle ad una sostanziale ininfluenza sul sistema professionale e messe così da parte le attese di milioni di cittadini italiani, che legittimamente esercitano una professione non riservata (come ha più volte affermato la Corte Costituzionale), di veder riconosciuta la loro capacità professionale in Italia ed all’estero, grazie alla iscrizione ad una associazione professionale confermando così il loro status di professionisti, il documento degli ordini si occupa di sistemare altre cose di loro diretto interesse.

Per prima cosa si preoccupa di precisare che tutte le attività connesse al tirocinio, alla formazione continua, alle specializzazioni devono essere rigorosamente condotte dagli ordini professionali. Chiede cioè che un grande nuovo potere venga affidato agli ordini professionali, sulla fiducia e senza alcuna ipotesi di controllo da parte statale. Non fa nulla se così viene limitata la libertà di impresa in tutto il settore della formazione.

Poi ipotizza la costituzione di società tra soli iscritti agli Albi professionali avventurandosi ad ammettere anche società tra appartenenti a più professioni e prevedendo vantaggi economici per i soci, Chiede però che siano riviste le norme sulle Società di ingegneria per le quali “occorrerà prevedere il ruolo obbligatoriamente residuale, sia dei soci detentori di capitale non professionale, che del capitale stesso”. E’ ben noto che dal 1994 vige una legge che ha dato la possibilità di operare in Italia alle società di capitali per rendere servizi di ingegneria e che, grazie a quella legge, i progetti sono di molto migliorati e la bilancia dei pagamenti per questa voce è attiva. Chi scrive ha vissuto in prima persona quella stagione e può assicurare che fu una battaglia molto dura: naturalmente nei 16 anni di vigenza di quella legge nessuno degli scenari drammatici paventati allora dai vertici degli ordini per contrastarla si è avverato. Ciò nonostante viene chiesta l’abolizione di un settore industriale riconosciuto e stabilizzato che contribuisce all’export nazionale sia direttamente che con l’indotto e da lavoro a oltre 20.000 professionisti. Bah!

Infine si rivolge alle tariffe che devono sostanzialmente tornare ad essere obbligatorie e chiede che i codici deontologici, emanati direttamente dai consigli nazionali, acquisiscano un ruolo ordinamentale. In altri termini gli ordini chiedono di vedersi riconoscere il diritto di emanare leggi senza più sottostare al controllo (blando) del Ministero di giustizia o a quello, più fastidioso, dell’Antitrust.

Completata la parte normativa, il documento si preoccupa di aumentare le rendite di posizione degli ordini. Agli albi devono iscriversi anche i professionisti pubblici dipendenti che, da sempre, in funzione della loro appartenenza ad una struttura pubblica e del conseguente vincolo gerarchico cui devono sottostare, non hanno mai avuto questo obbligo. Facciamo un conto: sono circa trenta milioni di € di maggiore incasso ogni anno. E più soldi, lo sanno anche i bambini, significa più potere! Agli Albi devono iscriversi anche le società tra professionisti e le società di ingegneria: altri soldi, altro potere. Migliorato l’attivo, si preoccupa di ridurre il passivo. Gli ordini devono essere sottratti alla vigilanza della Corte dei Conti, in quanto “non dipendono per la propria esistenza e funzionamento dal bilancio dello Stato”. Per gli stessi motivi, gli ordini non devono più sottostare alle norme di contabilità pubblica. Vanno capiti. Sottostare ad accertamenti è fastidioso, soprattutto se qualche magistrato contabile dovesse per avventura andare a spulciare i rimborsi spese che si dividono ogni anno o i costi che sopportano per organizzare convegni dichiaratamente politici, però ci sembra che dimentichino che la iscrizione agli Albi è obbligatoria e che, di conseguenza, per l’iscritto pagare la quota annua equivale ad una tassa. Forse mantenere o rafforzare qualche controllo sarebbe pure giusto.

A noi pare evidente che il documento, visto nel suo insieme, in quanto contro il mercato e il confronto concorrenziale, configuri una contro riforma la cui principale preoccupazione sia quella di aumentare i poteri dei vertici degli Ordini professionali intestandosi nuove competenze e nuove risorse ed assieme cercando di sottrarsi a qualsiasi controllo da parte dello Stato.

Gli ordini professionali sono nati come enti pubblici delegati dallo Stato per vigilare sulle attività professionali per le quali esistono interessi costituzionalmente garantiti da tutelare (il diritto alla salute ed il diritto alla difesa, sicurezza per la vita.). In questa veste hanno ricevuto il compito di registrare gli aventi diritto e irrogare sanzioni a coloro che non si comportano in modo deontologicamente corretto. Ora chiedono di mantenere e rafforzare tutte le vecchie funzioni e di aggiungere quella di legislatore e assieme di regolatore del mercato individuando i percorsi formativi per i tirocinanti, definendo le specializzazioni, dispensando la formazione continua e l'aggiornamento professionale.

Come possono non accorgersi che in questo modo vanno ad innestare un processo deviante ed un conflitto di interessi, ingigantito dalla conferma di ente monopolista? Come fanno a non capire che le nuove funzioni che pretendono presentano inevitabilmente aspetti commerciali che verrebbero loro affidati senza alcuna possibilità di verifica del mercato e che sarebbero gestiti senza alcuna concorrenza? Come non percepiscono che le loro richieste vanno a danno dei cittadini e delle imprese che devono acquisire servizi professionali, dei professionisti che vogliono muoversi in ambiti più innovativi e del Paese che deve trarre giovamento dal miglioramento di servizi professionali? A ben vedere, anche a danno dei professionisti iscritti agli ordini professionali che, se dovessero avere la sventura di porsi in contrasto con le direttive emanate dai Consigli Nazionali, non avrebbero possibilità di una efficace difesa, essendo essi giudicati da chi, in una unica mano, detiene il potere legislativo, in quanto emana i codici deontologici, quello del pubblico ministero (in quanto formula l’accusa) e quello giudicante. In aggiunta, se il documento dovesse trasformarsi in legge, diventerebbero anche ricattabili in quanto sempre dagli ordini devono andare per vedersi riconosciuta la formazione continua e la specializzazione.

Tutto questo accentramento di potere dovrebbe esser affidato a Enti pubblici che certo non hanno mai brillato per la trasparenza delle procedure di gestione, per la democraticità degli assetti dirigenziali, come è provato dalla scarsa partecipazione degli iscritti e dalla stabilità della dirigenza, e che nella storia si sono sempre preoccupati di difendere gli interessi degli appartenenti e non quelli dei cittadini, come invece prevedono le leggi istitutive.

Il Paese ha bisogno di riforme di senso opposto; ha bisogno di norme che rendano più agevole l’accesso al lavoro professionale ai giovani, non di quelle con lo precludono il più a lungo possibile; ha bisogno di una ampia offerta di sapere professionale, di livello divaricato e adeguato ad ogni tipo di richiesta; ha bisogno di garantire i cittadini sulla bontà di tutte quelle offerte. A questi bisogni si può rispondere solo con un associazionismo libero, diffuso e responsabile. In altri termini ha bisogno di norme che attuino il sistema accreditatorio proprio delle libere associazioni professionali, non certo di costosi apparati che tendono a privilegiare chi è dentro e ad escludere chi è fuori, coma fa, ad esempio, la proposta di riforma del consiglio nazionale forense, per fortuna impallinata al Senato, non solo dalla opposizione ma anche da larga parte della maggioranza. D’altra parte, non è forse vero che il Ministro Sacconi ha dichiarato di condividere il progetto del premier inglese Cameron per uno Stato più leggero che riduce i suoi apparati a favore della sussidiarietà tramite il rafforzamento delle organizzazioni intermedie tese alla soddisfazione degli interessi dei cittadini? E allora perché non si va avanti in quella direzione?

Abbiamo detto, all’inizio, che il documento presentato si propone di mettere in atto un delitto contro i cittadini italiani. Pensiamo di averlo dimostrato nel testo. Il nostro augurio è che anche il legislatore se ne accorga.

titolo: CoLAP avanti rispetto agli Ordini
autore/curatore: Giuseppe Lupoi
fonte: Mondo Professionisti
data di pubblicazione: 16/09/2010

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